sabato 8 ottobre 2011

Nemo propheta in patria

E' una locuzione in lingua latina che significa: "Nessuno è profeta in patria L'espressione vuole indicare la difficoltà delle persone di emergere in ambienti a loro familiari; in ambienti estranei viene generalmente assunto che sia più facile far valere le proprie capacità e qualità.
E’ un’espessione tratta a dai Vangeli: tutti e quattro riportano, direttamente o indirettamente, questa frase di Gesù Cristo (traduzione CEI): nell’occasione della visita alla città di Nazareth dove partecipa alla liturgia della sinagoga ed applica a sè
  • Matteo: E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua».
  • Marco: Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».
  • Luca : Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria».
  • Giovanni : Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria.
Il contesto dell'affermazione è nei sinottici la visita di Gesù alla sua città di Nazaret, dove partecipa alla liturgia della sinagoga e applica a sé laprofezia di Isaia riguardante il dono dello Spirito Santo al Messia del Signore.
La reazione dei nazareni è di rifiuto, e lì Gesù pronuncia la frase in questione.
Invece in Giovanni l'affermazione appare nel contesto generico di un ritorno a Nazaret di Gesù dopo una festa di Gerusalemme.

Ancor oggi simile espressione viene usata da coloro che vedono il proprio operato non apprezzato da chi sta più vicino: famigliari, colleghi, amici...
Essendo il successo, la fama, come qualcosa fuori dell’ordinario, stentiamo ad attribuire queste doti ad una persona che vive la nostra stessa vita ordinaria. Le attribuiamo più facilmente a chi non conosciamo affatto e viene da lontano.
Molte sono le motivazioni , ascrivibili anche a sensi di invidia che molte volte si nutrono nei cofronti delle persone che si conoscono.

venerdì 7 ottobre 2011

L'origine del termine cornuto.


Non vi è nulla di più offensivo soprattutto per un uomo essere apostrofato come cornuto.
Veniamo alle origini di questo termine che evoca gli animali cornuti.
Originariamente aveva un significato positivo e le corna erano addirittura un ornamento prestigioso. La sua accezione negativa risale al Medioevo, ai tempi dell'imperatore bizantino Andronico I (Costantinopoli - XII secolo), il quale, quando desiderava una donna sposata, ne faceva imprigionare il marito, la possedeva nella casa di lei e, in segno di dispregio, usava apporre davanti all'ingresso trofei di caccia con imponenti corna. Ecco perchè i mariti delle donne infedeli sono chiamati "cornuti"!
Un altro significato può derivare dalla Sicilia al tempo della presenza araba, quando i signori solevano andare a caccia di cervi nelle campagne palermitane. Dal momento che questi nobili musulmani stavano lontani dalle loro abitazioni per molti chilometri, decidevano di dormire in case del luogo in cui si divertivano con il loro hobby. I padroni di quelle dimore, allora, concedevano le loro mogli ai signori arabi, e questi, trascorsa la notte, come segno di apprezzamento del "dono ", consegnavano ai mariti "traditi", le corna dei cervi catturati, divenendo pertanto cornuti.
Non si esclude infine che l'aggettivo cornuto (tradito) derivi al maschio della capra - detto anche becco perchè è noto che la capra femmina cambia spesso partner.
Sono tanti i termini ingiuriosi e nn è un caso che Borges abbia scritto l'arte di ingiuriare, una breve riflessione sui meccanismi dell'offesa che ha una tradizione antica nella storia della società.

mercoledì 5 ottobre 2011

La Vulgata

Come è noto a molti, il Concilio Vaticano II ha rappresentato una svolta radicale ed addirittura epocale nella storia della Chiesa cattolica: molte sono le riforme introdotte ed in particolare si è resa più accessibile a tutti la Bibbia nell’Antico e Nuovo testamento. Infatti questi testi sono stati tradotti in tutte le lingue del poloplìo cristiano.
I più giovani non sanno forse che prima del concilio Vaticano II, i testi biblici erano in latino, la lingua ufficiale della Chiesa.
Esisteva cioè la Vulgata che fu opera di San Girolamo in grande dotto di letteratura latina della Chiesa di Roma.
Si tratta di una traduzione della Bibbia in latino dall'antica versione greca ed ebraica, realizzata all'inizio del V secolo da Sofronio Eusebio Girolamo. Il nome è dovuto alla dicitura latina vulgata editio, cioè "edizione per il popolo", che richiama sia l'ampia diffusione che ottenne, sia lo stile non eccessivamente raffinato e retorico, più alla portata Nei primi secoli dell'era cristiana circolavano tra le chiese cristiane dell'impero romano d'occidente, di lingua latina, numerose versioni non ufficiali della Bibbia,
Il carattere non ufficiale di tali versioni favorì notevolmente l'adattamento e l'interpretazione personale, producendo una notevole varietà di letture: ed interpretazioni
Di qui la necessità di giungere ad un testo unico in latino che ponesse fine alla confusioni interpretative. di quei tempi.
Nel linguaggio comune la vulgata ha acquisito un significato estensio in quanto significa espressione comune del volgo.

simbologia cristiana

Il simbolo secondo l'accezione comune è un elemento concreto, oggetto, animale o persona, a cui si attribuisce la possibilità di evocare o significare un valore ulteriore, più ampio e astratto rispetto a quello che normalmente rappresenta
Ad esempio la colomba è il simbolo della pace
La simbologia è presente moltissimo nel Cristianesimo come nelle altre religioni e soprattutto ad essa sono informai i quattro evangeli e cioè i tre sinottici più quello di Giovanni.
Matteo è raffigurato come uomo angelo: tutte le figure sono infatti alate.
L’evangelo di Matteo infatti incentra l’attenzione sull’umanità del Cristo (il Figlio dell'Uomo, come viene spesso indicato). Il testo esordisce con la discendenza di Gesù e, in seguito, narra la sua infanzia, sottolineandone quindi il suo lato umano.
Marco è raffigurato come Leone. Nel Vangelo di Marco infatti viene maggiormente indicata la regalità, la forza, la maetà del Cristo: in particolare i numerosi miracoli accentuano l'aspetto secondo cui Cristo vince il male. Inoltre è proprio questo Vangelo che narra della voce di San Giovanni Battista che, nel deserto, si eleva simile a un ruggito (di un leone, appunto), preannunciando agli uomini la venuta del Cristo.
Luca è raffigurato come bue ovvero come un vitello, simbolo di tenerezza, dolcezza e mansuetudine, caratteri distintivi di questo Vangelo per descrizione e teologia.
Giovanni è raffigurato come un'aquila. Il suo Vangelo infatti ha una visione maggiormente teologica, e quindi è quello che ha la vista più acuta. L'aquila è quello che vola più in alto di tutti gli esseri e che, unico fra tutti, può vedere il sole con gli occhi senza accecarsi, ossia vedere verso i cieli e verso l' Assoluto, verso Dio.