sabato 31 dicembre 2011

Il rito dello struscio a Napoli



Il periodo pasquale è un fermento di riti sacri e profani, celebrazioni liturgiche e sagre popolari.
Non vi è paese  dal più grande  a quello  più piccolo ed arroccato sulla montagna che non abbia una propria celebrazione nella settimana santa, basti pensare alle molteplici v vie crucis vero fulcro della tradizione pasquale.
 Cio accade non solo in Italia, ma anche a Malta ed in Spagna , soltanto per citarne alcuni. Molto caratteristica è a Napoli il rito del Giovedì Santo  nella settimana santa
In quel giorno i fedeli si recano  a visitare i sepolcri nelle chiese, che, secondo un’antica tradizione, devono essere almeno tre e sempre in numero dispari.
Questo rito viene comunemente indicato come il “giro dei sepolcri”A Napoli comunque si preferisce parlare di struscio
Questo modo dire sembra essere riconducibile ad un bando del Settecento quando a Napoli durante la Settimana Santa fu imposto il divieto di circolare con cavalIi e carri, divieto successivamente confinato alla sola via Toledo
I fedeli, che in gran numero osservavano il rito dei sepolcri, si trovavano quindi obbligati a percorrere a piedi  la principale arteria cittadina. Peril gran numero di persone, il passeggio era lento e si procedeva quindi strusciando (strisciando) i piedi lentamente sul selciato ed anche le stoffe ancora rigide dei vestiti nuovi indossati per l’occasione, strusciavano tra di loro producendo un suono sommesso.

giovedì 29 dicembre 2011

La notte di San Bartolomeo.



Questi giorni recenti sono stati giorni di angoscia e sgomento per l’eccidio dei copti ortodossi d’Egitto da parte di frange islamiche.La storia si ripete: dalle persecuzioni cristiane  da parte dei romani, dalle Crociate agli eccidi della riforma protestante, dal genocio armeno da parte dei Turchi a quello nazista nei confronti degli ebrei fino ai nostri giorni ove guerre di religione imperversano soprattutto nei continenti africano ed asiatico.
Sono tutte segni di una medesima matrice di violenza.
Qui vi parliamo sia pure sinteticamente della notte di San Bartolomeonome con il quale è passata alla storia la strage compiuta nella notte tra il 23 ed il 24 agosto 1572 festa di San Bartolomeo dalla fazione cattolica ai danni degli ugonotti a Parigi in un clima di rivincita indotto dalla battaglia di Lepanto e dal crescente prestigio della Spagna.
Tra il 1560 e il 1569, furono chiamati ugonotti i protestanti francesi di tendenza calvinista. Il protestantesimo si diffuse tra la nobiltà e la borghesia francesi nella prima metà del XVI secolo. Il calvinismo, eccetto che in piccole zone, si diffuse meno nelle campagne ma ebbe una certa diffusione presso alcuni ceti popolari delle città, in particolar modo i lavoranti di professioni nuove e innovative per l'epoca (tipografi, vetrai, stampatori, barbieri...). Tale diffusione suscitò l'allarme dei cattolici, aggiungendo l'elemento religioso ai motivi di scontro politico-dinastico che opponevano la casa regnante dei Valois a quella di Guisa. Caterina dei Medici, reggente dal 1559, aveva più volte utilizzato la presenza e l'appoggio degli ugonotti per evitare di essere soffocata dalle pretese della grande nobiltà cattolica, rappresentata soprattutto dai Guisa.
Le stragi si protrassero nel tempo in tutta la Francia fino a quando non si ebbe la pacificazione con l’Editto di Nantes del 1589.
L’interpretazione storica sulla strage in cui si intrecciano fattori socio economici a quelli religiosi è ancora oggi controversa.
Il dipinto di Francois Dubois qui riportato  ritrae mirabilmente l’essecrabile notte che segnò in modo indelebile il corso della storia.

mercoledì 28 dicembre 2011

Si vis pacem para bellum



 E’ una celebre citazione ricavata dalla frase: Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum,  che significa letteralmente "Chi aspira alla pace, prepari la guerra". Questa espressione latina significa "Se vuoi la pace, prepara la guerra",
E’ un concetto espresso da più autori non solo da Cornelio Nepote ma anche da Cicerone che scrisse Si pace frui volumus, bellum gerendum est (7^ Filippica), letteralmente Se vogliamo godere della pace, bisogna fare la guerra, che fu una delle frasi che costarono la vita al grande Arpinate nel conflitto con Marco Antonio.
E’ sovente usato anche nel linguaggio corrente e sta a porre in evidenza che per far desistere qualcuno dal muoverti guerra devi dotarti di un apparato militare uguale o superiore a quello del tuo avversario.
E’ l’affermazione della deterrenza militare secondo cui  la pace e la stabilita' si ottengono solo se c'e' equilibrio militare tra gli avversari (si pensi alla corsa agli armamenti di USA e URSS durante la guerra fredda).

lunedì 26 dicembre 2011

Nemo propheta in patria.



E' una locuzione in lingua latina che significa: "Nessuno è profeta in patria  L'espressione vuole indicare la difficoltà delle persone di emergere in ambienti a loro familiari; in ambienti estranei viene generalmente assunto che sia più facile far valere le proprie capacità e qualità.
E’ un’espessione tratta a dai Vangeli: tutti e quattro riportano, direttamente o indirettamente, questa frase di Gesù Cristo (traduzioneCEI): nell’occasione della visita alla città di Nazareth dove partecipa alla liturgia della sinagoga ed applica a sè

  • MatteoE si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua».
  • MarcoMa Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».
  • Luca : Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria».
  • Giovanni : Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria.
Il contesto dell'affermazione è nei sinottici la visita di Gesù alla sua città di Nazaret, dove partecipa alla liturgia della sinagoga e applica a sé laprofezia di Isaia riguardante il dono dello Spirito Santo al Messia del Signore.
La reazione dei nazareni è di rifiuto, e lì Gesù pronuncia la frase in questione.
Invece in Giovanni l'affermazione appare nel contesto generico di un ritorno a Nazaret di Gesù dopo una festa di Gerusalemme.

Ancor oggi simile espressione viene usata da coloro che vedono il proprio operato non apprezzato da chi sta più vicino: famigliari, colleghi, amici...
Essendo il successo, la fama, come qualcosa fuori dell’ordinario, stentiamo ad attribuire queste doti ad una persona che vive la nostra stessa vita ordinaria. Le attribuiamo più facilmente a chi non conosciamo affatto e viene da lontano.
Molte sono le motivazioni , ascrivibili anche a sensi di invidia che molte volte si nutrono nei cofronti delle persone che si conoscono.

domenica 25 dicembre 2011

I Vangeli Apocrifi.


 

E’ tempo di Natale ed appare giusto ricordare in queste ore in cui rimangono tutti estasiati nell’ammirare la Sacra Famiglia nella grotta di Betlemme come  questa stupenda immagine familiare si trovi nei Vangeli Apocrifi e non in quelli canonici che sono molto più scarni nelle descrizioni. Infatti il Vangelo di Luca parla soltanto di una mangiatoia probabilmente posta in una stalla.
I Vangeli apocrifi cioè Vangeli nascosti, come è noto non sono riconosciuti autentici dalla Chiesa ufficiale.
Essi non sono vangeli dotti, ma provengono da una tradizione popolare; tuttavia essi celano sotto una narrazione favolistica importantissime  problematiche teologiche che nel passato hanno dato vita a delicate controversie e dispute
Quali sono questi Vangeli  non autentici?
Essi si possono distinguere dal punto di vista contenutistici:    Vangeli, Scritti apostolici ed Apocalissi.         
Per quanto riguarda i Vangeli essi possono ripartirsi in simili a quelli canonici, in gnostici proveniente dall’oriente e che traggono il loro nome dalla gnosi (conoscenza) e vangeli favolistici e leggendari.
II vangeli dell’infanzia ( ad es. il protovangelo di Giacomo e ed il Vangelo arabo sull’infanzia del Salvatore)  scritto intorno al 150 d.C che appunto trattano diffusamente il tema del Natale fanno parte dei cosiddetti vangeli favolistici,presentano un carattere
miracolistico che sfocia spesso nel  magico- fiabesco,  in netto contrasto con la sobrietà dei 4 Vangeli canonici. Sono caratterizzati inoltre da una assente o imprecisa conoscenza degli usi e costumi giudaici o da altre imprecisioni di natura storica o geografica, che ne inficiano il valore storico degli eventi narrati.
Celebri artisti si  sono ispirati ai Vangeli apocrifi come  il Caravaggio, Tintoretto,  Andrea del Sarto,  Gentile da Fabriano,il Guercino  e Albrecht Dürer.
Glii Apocrifi hanno ispirato anche la letteratura (il tanto amato e odiato Codice da Vinci di Dan Brown), il teatro (Mistero buffo di Dario Fo), il cinema (Cammina cammina di Ermanno Olmi) e la musica, dove, se fra i moderni spicca La Buona Novella di Fabrizio De André, fra i classici risplende un monumento di fede come la Passione secondo Matteo di Bach. 


 Si coglie l'occasione per inviare i migliori auguri di buon Natale  a tutti i lettori.

sabato 24 dicembre 2011

Fare l'indiano!



 Fare l'indiano significa fingere di non capire, di non interessarsi a qualcosa, evidentemente perché la finzione torna comoda.
Nel linguaggio comune, la locuzione " fare l'indiano" indica l'atteggiamento di chi, per proprio comodo, finge di non sentire quello che gli viene detto, o di non capire, non sapere o non interessarsi a qualcosa. 
 L'espressione fa riferimento allo stereotipo del nativo americano ("indiano" delle Indie occidentali, che avrebbe, nell'immaginazione popolare, un atteggiamento generale di indifferenza e apatia, come chi non capisce quello che sta accadendo o che gli viene detto.
Altre locuzioni con lo stesso significato sono per esempio: fare lo gnorri o fare il nesci nel senso di non capire
La parola gnorri deriva dalla seconda persona dell'indicativo presente di ignorare (tu ignori) con la caduta della vocale iniziale e il raddoppiamento espressivo della r.

Un'altra ipotesi la fa derivare dall'aggettivo toscano gnoro, nel senso di ignorare, con la ifinale tipica dei cognomi.
Altro sinonimo è fare orecchi da mercante che significa  fingere di non capire non è affatto un modo di dire offensivo, ma certamente ironico allusivo della capacità dei mercanti di ignorare le offerte di chi compra o vende, per alzarle od abbassarle secondo il proprio  tornaconto.
Le traduzioni di queste locuzioni nelle altre lingue ovviamente sono difficili perchè tipiche e peculiari della lingua italiana.

venerdì 23 dicembre 2011

I generi letterari della novella e del racconto breve.



Riprendiamo la nostra carrellata sui generi letterari e volgiamo la nostra attenzione al genere della novella ed a quello del racconto breve. 
Le definizioni non sono nette, ma comunque consentono di apprezzarne le distinzioni-
La novella è una narrazione breve e semplice i cui personaggi possono essere facilmente ritrovabili nella vita quotidiana.
Sembra essere nata in Oriente, diffondendosi poi in occidente nel XII secolo. Una variante è data dall’exemplum, una forma semplice di novella inglobata tra la fiaba e la parabola. Tra questi si annoverano le vite dei Santi spesso usate dai Predicatori con finalità educative e moraliste ma inglobato all'interno di altri generi letterari. alla base della struttura che assumerà poi nel medioevo troviamo l'exemplum, un genere che si potrebbe definire una forma semplice di novella ma che possiamo descrivere anche come un genere a metà strada tra la fiaba e la parabola. anche questo è inglobato all'interno di altri generi come la vita dei Santi perché era usato molto spesso dai predicatori in quanto era un genere con finalità educative e moraliste. 
La novella  vera e propria nacque  in Italia nel Duecento, secolo in cui nacque la letteratura italiana, ed è un genere letterario che, con maggiore o minore fortuna, si è continuato in ogni secolo, fino ai giorni nostri.
Il racconto invece è una narrazione in prosa di contenuto fantastico o realistico di minore estensione rispetto al romanzo. Ciascun racconto, per quanto in sé concluso (a differenza dei capitoli di un romanzo è portatore di una storia completa), va visto in collegamento unitario con gli altri appartenenti alla stessa raccolta. 
La letteratura italiana è ricca di novellieri e dalle prime forme novellistiche del duecento si passa nel corso dei secoli a Boccaccio con il Decamerone e Sacchetti nel trecento per poi passare nel quattrocento a Enea Silvio Piccolomini, ed a Filippo Brunelleschi. Celebri autori sono anche Matteo Bandello, Poliziano ed ancora nel Seicento GiovanBattista Basile con il Cunto de li Cunti  e Gaspare Gozzi nel settecento,
Nell’ottocento si distinguono Giuseppe Giusti, Edmondo De Amicis con l’indimenticabile Cuore, Collodi, Verga, Fucini, Grazia Deledda, Pirandello, Moravia e tanti altri.