Anche i filosofi e pensatori amano mangiare bene e non è un caso che alcuni filosofi spesso nelle loro opere menzionino i piatti preferiti.
Queste informazioni desunte dalle loro biografie sono utili in fondo per meglio conoscere il loro pensiero-
Ecco una breva rassegna:
I Pitagorici teorizzavano il vegetarianesimo come prassi di vita, nella convinzione che l’uomo non dovesse cibarsi di carni perché, nella misura in cui le anime possono reincarnarsi anche negli animali, ciò equivarrebbe a essere cannibali.Pitagora proibì ai suoi discepoli di mangiare fave e la leggenda vuole che egli stesso, inseguito dai suoi nemici, si fece da essi catturare anziché mettersi in salvo correndo per un campo di fave.
Platone non era insensibile al mangiar bene: dilui si sa che amava olive e fichi secchi.
Aristotele stesso ci ricorda, nella Metafisica (982 b 21), che la filosofia nasce quando l’uomo ha risolto i suoi bisogni primari.
Epicuro, invece era proverbialmente famoso per l’ingordigia, come se egli in tutta la sua vita non avesse fatto altro che fare grandi abbuffate e grandi bevute… Tant’ che se oggi diamo dell’epicureo a qualcuno, alludiamo alla sua sfrenatezza in materia di piaceri… Eppure quest’immagine di Epicuro che beve e si abbuffa a più non posso non corrisponde pienamente alla realtà.
Jean-Jacques Rousseau rubò in diverse occasioni… i famosi grissini torinesi, dei quali andava ghiotto.
Immanuel Kant fu sicuramente quello che definiremmo oggi una “buona forchetta”. In particolare, quando assaggiava qualcosa di nuovo che gli piaceva, non mancava di farsi dare la ricetta. Tra le sue abitudini alimentari più bizzarre ricordiamo che, quando mangiava la carne, la masticava a lungo in modo da ricavarne il succo, che poi ingoiava, mentre la parte solida non veniva ingoiata.
Non era di suo gradimento la cucina particolarmente sofisticata: preferiva quella semplice e alla buona. A differenza delle abitudini moderne, tutti i suoi pasti duravano molto, poiché non mangiava velocemente e non gli piaceva alzarsi dalla tavola subito dopo aver finito il pasto. Non mangiava mai da solo, poiché sosteneva che mangiare da soli è nocivo e che c’è sempre bisogno di una buona compagnia, alla quale faceva recapitare sin dal mattino l’invito a pranzo. Preferiva che i commensali fossero da tre a nove: “non meno delle Grazie e non più delle Muse”. Un aneddoto racconta che, un giorno, ritrovandosi da solo, disse al proprio cameriere di invitare il primo passante a pranzare con lui.
Solamente i suoi pranzi erano particolarmente lunghi ed elaborati; la sua colazione, invece, che consumava alla cinque del mattino, consisteva soltanto in una o due tazze di tè.
Pare aggiungesse la senape ad ogni alimento e andasse matto per il baccalà e per il formaggio olandese. Anche Hegel pare che non disdegnasse il bere, preferendo però il vino alla birra: addirittura, per render conto del passaggio dalla religione alla filosofia all’interno del suo sistema, egli spiega che è un po’ come con lo champagne, quando nel calice la schiume si fonde con vino… Arthur Schopenhauer, dal canto suo, consumava i suoi pasti generalmente al “Ristorante Inglese”: cominciando a mangiare, metteva sulla tavola, dinanzi a se,
una moneta d’oro, che riponeva in tasca a pasto finito. Un cameriere, senza
dubbio indignato, gli chiese alla fine il significato di quell’invariabile cerimonia. Schopenhauer rispose di aver promesso a se stesso di lasciar cadere la moneta nella cassetta dei poveri il primo giorno in cui avesse udito gli ufficiali inglesi, che pranzavano nel ristorante, discorrere di qualche cosa che non fosse di cavalli o di donne o di cani…
Ludwig Feuerbach, in una sua famosa opera del 1862, aveva dato il titolo Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia. L’uomo è ciò che mangia: in tedesco, “der Mensch ist was er isst”. L’obiettivo manifesto che Feuerbach si pone è, naturalmente, quello di sostenere un materialismo radicale e anti-idealistico, a tal punto da portarlo a sostenere che noi coincidiamo precisamente con ciò che ingeriamo.
Karl Marx sembrava invece attento al bere più che al mangiare: in particolare, egli era un gran bevitore di birra, specie nei suoi anni universitari.
Friedrich Nietzsche ebbe una particolare predilezione per uova, noci, riso, patate, pane, mele, biscotti, latte e soprattutto salsicce. Potrebbe sembrare apparentemente alquanto poco usuale che, l’ideatore del Superuomo avesse anche una passione travolgente per il cibo e per alcuni prodotti in modo particolare. Nel suo ultimo anno di lucidità, il 1888, spesso accostava “bistecca, omelette, prosciutto e tuorli d’uovo crudi con pane”. La sua dieta, come si evince, era tutt’altro che “in bianco”. L’alimento, però, per il quale aveva una vera e propria forma di attrazione erano le salsicce, che si faceva inviare regolarmente per posta dalla madre. La cucina piemontese è la mia preferita”, scrive in Ecce homo, la sua autobiografia.
Dal canto suo, Ludwig Wittgenstein al cibo non s’interessava affatto: l’importante era che in tavola trovasse sempre lo stesso piatto…
Con un’immagine alquanto efficace, Ernst Bloch dice che “l’uomo non vive di solo pane, specialmente quando non ne ha”: fuor di metafora, è nei momenti più desolati e difficili (le carestie, le guerre, ecc) che si fa sentire con più forza la spinta a trascendere il presente e a sperare in un futuro migliore.